La storia che circonda il sito Vajont.info è una storia intricata e deplorevole di per sé, per quel che esprime e per quel che significa. Una storia fatta di errori e forzature in ogni dove, con una sentenza che si presenta come una ciliegina su di una torta già oltremodo indigesta. Una fiera dell’errore per la sua dinamica, una fiera dell’orrore per il significato che porta in seno.
L’errore che non bisogna aggiungere alla vicenda in questa fase è dare qualsivoglia importanza alla diatriba in atto tra il blogger querelato e l’onorevole Paniz che ha lanciato la denuncia: una questione privata tra due persone che hanno evidentemente delle frizioni da risolvere e che risolveranno ora giocoforza in tribunale. Quel che fa trasecolare chiunque capisca la Rete è che nel 2012 una questione privata tra due persone possa portare centinaia di siti Web del tutto estranei alla vicenda ad essere chiusi. Una situazione che si fa tanto assurda da non rendere nemmeno credibile un ipotetico grido d’allarme contro bavagli e censure: semplicemente, sono entrati in ballo meccanismi fatti di mancata conoscenza e mancata esperienza, figliando un approccio povero ed distorto alle dinamiche della Rete. Si è fatto un enorme passo indietro, anni di riflessioni bruciati in una sentenza. Con conseguenze deleterie, pericolose ed abnormi.
Un blogger pubblica una frase nel 2007. Nel 2012 il politico oggetto della critica si accorge della cosa e chiede la rimozione della frase. L’errore strategico è clamoroso, perché se in precedenza erano stati ben pochi a leggere le frasi incriminate, ora mezza Italia sa della polemica e sa perché l’on. Maurizio Paniz si è sentito diffamato. Anzi, cercando su Google la storia emergerà per molto tempo, infangando l’immagine dell’onorevole ben oltre le frasi pubblicate a suo tempo sul sito oggi censurato.
La storia è però deflagrata soprattutto a seguito delle bislacche decisioni del giudice che ha intimato il blocco dell’IP per affossare il sito. La spiegazione è di Guido Scorza:
Un fax – come è prassi in questi casi – trasmesso a 26 fornitori di servizi di connettività [n.d.r. non è chiaro come selezionati anche perché alcuni appaiono non più in attività] e ad un’associazione di categoria [n.d.r. Assoprovider] – ma non anche all’altra [n.d.r. AIIP] – “con preghiera di inoltrarlo a tutti gli associati”. [...]Errori del passato si ripropongono pertanto come nulla fosse successo, come se il dibattito sul tema fosse mai proseguito, come se la cultura della Rete fosse rimasta quella di un decennio fa. Per cancellare una frase si è intervenuti con la chiusura di un IP, come se per sequestrare un oggetto in un negozio si chiudesse l’intero quartiere a tempo indefinito.
L’espressione della quale si ipotizza il carattere diffamatorio è contenuta in 80 caratteri spazi inclusi.
Il sito internet “denominato Vajont.info” - per dirla con le parole del Giudice – contiene centinaia di migliaia di caratteri e centinaia di migliaia di bit di informazione tra file testuali ed audiovisivi.
Tanto basterebbe per dare il senso dell’abnormità del provvedimento e della palese e totale mancanza di proporzionalità tra l’obiettivo perseguito ed il provvedimento adottato.
Per impedire la diffusione – anche a voler ammettere che si sia trattato di un risultato perseguibile – di 80 caratteri si è disposta la rimozione da uno spazio pubblico di milioni di caratteri e bit di informazioni, documenti ed opinioni.
Come se, per impedire la pubblicazione di un libro, anziché sequestrarne le copie, si sequestrasse l’intera società editrice.
Scendere in difesa dei diritti di Maurizio Paniz significa non guardare il vero problema. Scendere in difesa dei diritti di Vajont.info significa medesimo errore. Scendere in difesa della rete è invece un dovere, perché interventi di questo tipo comportano distorsioni di gravissimo pericolo potenziale: bavagli e censure, in prospettiva, possono sì prendere forma e rappresentare un pericolo concreto.
Chi di sequestro ferisce, di sequestro perisce: il sito Web di Maurizio Paniz è nel frattempo stato abbattuto dagli Anonymous, i quali hanno preso il controllo della pagina replicando la frase ingiuriosa nei confronti dell’onorevole, linkando un comunicato pubblicato su Pastebin e firmando l’azione con il simbolo della Legione:
Interessante è notare come la magistratura italiana abbia fatto il suo esordio censorio in rete con un portale del genere, andando a ledere il diritto primario all’informazione, come se si volesse costituire un precedente: il giudice decide cosa si può scrivere e cosa si può sapere, ledendo gravemente i diritti all’informazione dei cittadini italiani che potrebbero vedere scomparire dal mondo della rete interi quotidiani, blog, portali informativi, in virtù di una o più frasi ritenute lesive dei diritti di un singolo cittadino.Insomma, secondo gli Anonymous è solo l’inizio di una serie di DDoS. Ma da sperare v’è che non sia solo l’inizio di una serie di sequestri: ulteriori azioni di questo tipo sarebbero del tutto intollerabili e rischierebbero di trasformare una semplice rivalsa in una vera e propria guerra. Nella quale torto e ragione rischiano di diventare sempre meno definiti ed identificabili.
Per queste ragioni non perdiamo l’occasione di tacere ed agiamo!!!
Wikileaks dice “Informations want to be free”. E voi cari avvocati? Oltre ai soldi e alla reputazione, un pò di sana libertà non ve la volete godere? A quanto pare no, quindi abbiamo deciso di farvi incazzare un bel pò iniziando un lungo processo di attacchi, che comincia proprio con http://www.mauriziopaniz.it/.
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