lunedì 20 febbraio 2012

Servizi prêt-à-porter e privacy Ecco la rivoluzione di Google

In Rete già comincia a serpeggiare qualche segno d’inquietudine per quello che accadrà dal primo marzo. Tutto nasce da una piccola riga di testo, appena evidenziata in giallo canarino sbiadito, che, da una pagina di servizio di Google, dice: «Le presenti norme saranno sostituite dalle nostre nuove norme sulla privacy che entreranno in vigore il 1˚ marzo 2012. Per ulteriori dettagli consulta la pagina riepilogativa».

La realtà è che ogni essere umano cyber navigatore è oramai abituato a considerare Google come un familiare di lunga frequentazione, la nota sui prossimi cambiamenti fino ad ora sarà stata oggetto d’attenzione solamente per gli utenti più digitalmente avanzati e di conseguenza molto sospettosi. I meno attrezzati l’avranno giudicato uno dei tanti avvisi di servizio, magari riguardo l’upgrade dell’interfaccia.

Pochi saranno quindi andati a vedere la suddetta pagina di riepilogo, chi l’abbia finora fatto ha compreso che gli uomini di Google stanno «eliminando oltre 70 diverse norme sulla privacy in tutti i servizi, per sostituirle con una normativa unica, che dovrebbe essere più breve e di più facile comprensione». Temendo forse gli ipocondriaci da sindrome del «Grande Fratello», aggiungono che il loro unico obiettivo è di «creare un’esperienza d’uso che sia meravigliosamente semplice e intuitiva per tutti i servizi Google».

Quelli di Google sono, in effetti, tutti gadget cui nel tempo ci siamo piacevolmente assuefatti, anche perché molti sono veramente utili anche a condividere documenti, lavorare in gruppo a distanza, video chattare, avere una mailbox capiente e duttile nelle sue estensioni, farsi un blog velocemente, collegarlo alle proprie gallerie di foto, ai propri video autoprodotti e pubblicati su YouTube, al proprio profilo di social network e anche molto altro che, giorno dopo giorno, sembrava arrivarci facile e gratuito, forse per la sola ragione che a Mountain View qualcuno volesse a tutti noi tanto bene.

È invece evidente che questo passo verso la «semplificazione» dovrà necessariamente corrispondere anche a una più consistente possibilità di profitto, soprattutto per chi per tanto tempo pensavamo ci offrisse solo regali. Non è però un mistero che ogni utente rappresenti un valore, proprio in ragione della mole di dati personali che può fornire attraverso il suo movimento in rete.

Ogni nostro passaggio localizzato, ogni transazione, ogni visita a pagine, ogni tempo di permanenza, ogni pubblicazione di foto, video, ogni parola chiave deducibile da uno status su Facebook, un commento a un tag su una foto, una battuta su Twitter… A noi sembrano facezie da perditempo, ma per l’affamatissimo mercato degli umani «profilati» tutto questo è oro.

Google rassicura che: «La protezione della tua privacy non è cambiata. Non venderemo mai le tue informazioni personali e non le condivideremo senza la tua autorizzazione».

Resta il punto che le nuove norme di Google sulla privacy tendono sicuramente all’hard rispetto al passato, soprattutto in quell’«interoperabilità tra i servizi» che è proposta come un nuovo beneficio: «Memorizzando le informazioni di contatto delle persone con cui desideri condividere contenuti, ti aiutiamo a condividere materiale in qualsiasi prodotto o servizio».

È sicuramente così, tutto si condividerà meglio, ma questo sicuramente avrà per noi un prezzo e per Google un guadagno. Mentre prima servizi come Gmail, Google doc e YouTube funzionavano come compartimenti stagni, dal primo marzo potranno dialogare e di conseguenza scambiarsi informazioni sulle nostre preferenze. Chiaramente così cambierà molto l’idea di riservatezza, soprattutto nell’accezione cui finora eravamo abituati, ma il parametro per cui si attribuisce il valore di «riservato» è in continua e veloce evoluzione e segue il passo della tecnologia.

Si pensi quanto sia stato immediato e drastico il passaggio da una telefonata privata; prima sigillati in cabine bunker, ora con il cellulare alla bocca anche in autobus o in uno scompartimento ferroviario.

Può anche non piacerci, ma la sintesi è che Google è una «private company» che ha avvisato gli utenti che, dopo dieci anni di servizi gratuiti, vuole cambiare e adeguarsi a un futuro in cui il motore di ricerca, almeno come lo conoscevamo, potrebbe non esserci più.

Sta a noi decidere se entrare in un tempo in cui comunicando saremo tutti molto, ma molto più «visibili» di quanto lo siamo stati finora, o tagliare i fili e tornare alla carta e penna e ai piccioni viaggiatori.



Fonte: LaStampa

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